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Autore: Raffaele Tovino 27 mar, 2024
Ieri incontro tra Governo e parti sociali: anche la patente a punti sembra destinata ad essere emendata Novità sul fronte delle nuove normative della sicurezza sul lavoro: Governo e maggioranza provano a calibrare meglio le nuove regole come quelle sancite dalla patente a punti e aprendo ai contratti più rappresentativi al posto dei contratti maggiormente applicati. Di questo si è discusso ieri nel corso di un incontro tecnico tra gli esperti di Ministero del Lavoro e parti sociali. In primis, si è presa in esame la possibilità di fare riferimento ai contratti comparativamente più rappresentativi al posto dei contratti maggiormente applicati. Possibile correzione, quindi, in vista sulla disposizione contenuta nel nuovo decreto Pnrr per frenare le esternalizzazioni di alcune attività al solo scopo di abbattere il costo del lavoro. Nell’attuale formulazione, la norma prevede che nei casi di appalto di opere o servizi è obbligatorio corrispondere ai lavoratori, anche di eventuali sub appaltatori, un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal “contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nel settore e per la zona il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto”. Quest’ultimo riferimento, pertanto, verrebbe modificato, e si introdurrebbe il richiamo ai “contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative”. È entrato nel merito, poi, il dialogo per l’applicazione della nuova patente a crediti: lo strumento debutterà strutturalmente, ma dopo la sua entrata in vigore sarà “attentamente monitorato” anche per valutare possibili correzioni. Per garantire la certezza del diritto, ad esempio, i crediti potranno essere tolti dopo sentenza definitiva salvo sospensione in via cautelare, tant’è che nei casi più gravi c’è il sequestro del cantiere. Nel meccanismo di recupero dei “punti”, poi, potrebbe entrare anche la formazione dei lavoratori. E altri emendamenti spingono anche per incrementare i punti iniziali della patente (oggi fissati in 30), e poter arrivare fino a 100 in base alla grandezza dell’azienda o ad altri criteri come, ad esempio, l’adozione di modelli di organizzazione e di gestione o un sistema di gestione per la salute e la sicurezza sul lavoro certificato. Un altro tema di discussione con le parti sociali, infine, ha riguardato le imprese in possesso di attestazione Soa: quest’ultime non sarebbero escluse dalla patente a crediti, ma potrebbero avere punteggi aggiuntivi. Le reazioni dei sindacati? In chiaro scuro, tant’è che il segretario generale della Fillea-Cgil , Alessandro Genovesi, ha confermato la mobilitazione e lo sciopero di 8 ore per il giorno 11 aprile.
Autore: Raffaele Tovino 25 mar, 2024
L'informativa alla Camera della ministra Calderone ha tralasciato l'idea di insegnare la sicurezza a scuola C’è un elemento positivo e uno negativo nelle parole pronunciate dalla ministra Marina Calderone alla Camera a proposito delle misure volte a garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro: un’informativa, quella del governo Meloni a Montecitorio, che arriva a poco più di un mese dal crollo di una trave in cemento nel cantiere dell’Esselunga a Firenze, costato la vita a ben cinque operai. Partiamo dall’elemento positivo. La ministra del Lavoro ha annunciato che lo stanziamento per il bonus malus dell’Inail salirà a 800 milioni. Significa che ci saranno più risorse a copertura della riduzione dei premi assicurativi per le aziende in cui si registri un calo degli infortuni o delle malattie. E questo è sicuramente un bene per almeno due motivi. Il primo: il governo Meloni dimostra di aver compreso come, per ridurre l’esorbitante numero di morti bianche, sia necessario seguire una logica incentivante più che punitiva. Il decreto Pnrr prevede sì un inasprimento delle sanzioni per le imprese che non rispettino le regole in materia di sicurezza e un rafforzamento del contingente ispettivo, ma anche misure volte a far sì che le imprese trovino più conveniente adeguarsi alla normativa. Il secondo aspetto che lascia ben sperare, poi, sta nel fatto che l’incremento dei fondi a copertura del bonus malus dell’Inal conferma l’impegno del Governo e dell’Istituto sul fronte della lotta a infortuni, malattie e morti sul lavoro. Il bando Isi, che copre fino al 65% delle spese sostenute dalle imprese per progetti specifici, nella sua ultima edizione prevede uno stanziamento di 508 milioni: “Si tratta dell’importo più alto mai stanziato nelle 14 edizioni dell’iniziativa”, ha sottolineato la ministra Calderone nell’aula di Montecitorio. D’altra parte, dal 2010 a oggi, l’Inail ha destinato oltre tre miliardi e mezzo a fondo perduto per progetti di miglioramento dei livelli di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Senza dimenticare l’annunciato aumento, da dieci a 50 milioni, degli investimenti in formazione per la crescita delle competenze dei lavoratori e degli operatori della sicurezza. Nell’informativa di Calderone, però, c’è un “non detto”. La ministra, che già all’indomani della tragedia di Firenze aveva evidenziato la necessità di insegnare la sicurezza sul lavoro nelle scuole, continua a sottolineare la necessità di individuare “tutte le forme più efficaci di intervento per contribuire alla formazione dei ragazzi”. La titolare del dicastero del lavoro, però, non circostanzia la proposta né fa chiarezza sulla sorte della proposta di legge per fare della sicurezza del lavoro una materia di insegnamento nelle scuole secondarie: un’idea lanciata nell’estate del 2023 da Walter Rizzetto, parlamentare di Fratelli d’Italia e presidente della Commissione Lavoro della Camera, e puntualmente rimasta lettera morta. Quella norma è ancora in cantiere? Qualcuno, all’interno del governo Meloni, si è posto il problema di assicurare la partecipazione attiva non solo degli studenti ma anche degli insegnanti e dei genitori, l’utilizzo di strumenti didattici innovativi ed efficaci, l’insegnamento basato soprattutto su casi di vita reale, il coinvolgimento dei giovani nella gestione della sicurezza degli istituti? Su questi aspetti la ministra glissa elegantemente. Su certe proposte, invece, di fare un passo avanti come è avvenuto su altri fronti. Il governo Meloni ha effettivamente previsto un aumento delle risorse, il rafforzamento degli ispettori e l’inasprimento delle sanzioni, ma continua a cincischiare sulla sicurezza del lavoro nelle scuole. Il tempo delle parole e delle proposte generiche, però, è finito: ce lo ricordano non solo i cinque morti di Firenze, ma anche e soprattutto quelle oltre mille vittime registrate in Italia da dicembre scorso a oggi, con Basilicata e Puglia distintesi per un’incidenza di infortuni mortali ben al di sopra della media nazionale.
Autore: Raffaele Tovino 21 mar, 2024
La retribuzione oraria è in calo: lo rivela Eurostat assegnandoci un -0,1% nell'ultimo trimestre del 2023 L’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea in cui la retribuzione oraria è in calo. Lo rileva Eurostat specificando che, da noi, nell’ultima parte del 2023, il costo orario del lavoro si è ridotto dello 0,1% mentre nel resto dell’Unione è aumentato del 4%. Stando sempre all’istituto di statistica, più precisamente, il costo del lavoro, nel quarto trimestre 2023, è aumentato del 3,4% nell’area dell’euro e del 4% nell’Ue rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Le due componenti principali del costo del lavoro sono i salari (e gli stipendi) e i costi non salariali. Nell’area euro i costi delle retribuzioni orarie e degli stipendi sono aumentati del 3,1%, mentre la componente non salariale è aumentata del 4,2%. Nella Ue i costi delle retribuzioni orarie e degli stipendi sono aumentati del 3,8% e la componente non salariale è aumentata del 4,6%. Ma quali sono i Paesi dove si sono registrati gli aumenti maggiori? Sono soprattutto quelli dell’Est. La Bulgaria, ad esempio, segna addirittura un +11,9% complessivo. Sta di fatto che deve recuperare ancora molto terreno: i Paesi in cui il costo del lavoro è maggiore tradizionalmente si trovano nell’area centro-settentrionale dell’Unione: Lussemburgo (50,7 euro all’ora), Danimarca (46,8) e Belgio (43,5). Sono invece minori in Ungheria (10,7), Romania (9,5) e proprio in Bulgaria (8,2). In Italia, l’unico Paese in controtendenza nell’ultimo scorcio del 2023, il costo medio del lavoro è pari a 29,4 euro all’ora, tutto sommato ancora in linea con la media europea.
Autore: Raffaele Tovino 18 mar, 2024
Perchè conviene a tutti abbandonare la cultura del "buttate le chiavi" e ripartire da un protocollo che finora ha clamorosamente fallito Partiamo immediatamente da un dato: il 68,7% dei detenuti che in carcere non lavora torna a delinquere. E questo valore tocca addirittura il 90% se si pensa che una parte dei reati commessi dai recidivi non viene mai scoperta. Quante sono, invece, le persone che, dopo aver lavorato regolarmente durante la detenzione, si mettono nuovamente sulla cattiva strada? Non più del 2%. Una statistica che andrebbe spiegata ai teorici del “buttiamo la chiave”, sempre pronti a sventolare cappi e manette, ma anche a quelle istituzioni che non sembrano comprendere l’importanza del lavoro in carcere. Un detenuto costretto a vivere in spazi risicati e il più delle volte fatiscenti, ad accontentarsi di due ore d’aria al giorno e a comunicare con i propri familiari dietro un vetro divisorio, finisce per incattivirsi e per interpretare la pena non come un’occasione ma solo ed esclusivamente come una punizione. I detenuti assunti da aziende che portano i propri reparti all’interno del carcere, invece, sono occupati per otto ore al giorno, guadagnano uno stipendio regolare, pagano le tasse, hanno la possibilità di sostenere economicamente la propria famiglia, sentendosi utili e allontanandosi dalla strada del malaffare. Questa differenza, peraltro piuttosto intuitiva, non sembra essere molto chiara in un Paese come l’Italia. Basta analizzare i numeri: su poco meno di 61mila detenuti, sono soltanto 700 quelli che lavorano in carcere e ai quali se ne aggiungono circa 1.700 che prestano servizio in regime di semilibertà. Lo scenario complessivo non è migliorato dopo l’approvazione del protocollo Cartabia-Colao che avrebbe dovuto portare all’inserimento di circa 10mila detenuti nel mondo del lavoro attraverso una serie di aziende disposte a insediare le rispettive attività nelle carceri. Nel solo settore della fibra ottica erano previste 1.553 assunzioni. Alla fine, i detenuti effettivamente ingaggiati sono stati tre. A ostacolare la svolta sono almeno due fattori. Il primo è quello al quale si è già accennato, cioè quella linea di pensiero secondo la quale la pena deve tradursi in una semplice punizione e nei confronti dei detenuti non bisogna usare alcuna pietà. È lo stesso orientamento che, in barba alla Costituzione e a una consolidata giurisprudenza, si oppone alla possibilità che i detenuti vengano effettivamente curati, che coltivino le proprie aspirazioni e la propria affettività, che possa essere insegnato loro un mestiere. Eppure tutti i dati statistici evidenziano come la pena, intesa come punizione, generi una spirale negativa. Il secondo ostacolo è la burocrazia. Emblematico il caso del carcere di Verona, dove per dieci anni hanno lavorato ben due aziende. Poi, a marzo 2023, il permesso è stato revocato perché alle imprese è stata riscontrata qualche irregolarità amministrativa. E lo Stato che cosa ha fatto? Anziché aiutare le aziende a mettersi in regola, le ha sbattute fuori. Con la conseguenza che oltre 150 detenuti sono stati costretti a tornare in cella, dall’oggi al domani, senza più un lavoro. E quindi non c’è da meravigliarsi se, a Verona, dall’inizio del 2024 si siano verificati già cinque suicidi. Sarebbe il caso, quindi, che le istituzioni consentissero alle aziende di operare in carcere e ai detenuti di lavorare. Per centrare l’obiettivo, però, occorre respingere, una volta per tutte, l’idea della galera come discarica sociale in cui “smaltire” persone plurisvantaggiate con dipendenza da alcol, droga e gioco o affette da problemi psichiatrici o i migranti giunti in Italia a bordo dei barconi. E, nello stesso tempo, bisognerebbe capire e far capire quanto il lavoro in carcere faccia bene non solo a chi sta dentro, ma anche a chi sta fuori.
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